L’iniziativa dell’assessorato al turismo di Cerveteri di riaprire le tombe dei leoni dipinti ci offre l’occasione di riflettere un momento sul nostro passato.
Osservando la raffigurazione di leoni sulle pareti non si può fare a meno di riconoscere che i leoni, o Panthera Leo, vivevano nel Lazio almeno durante il periodo florido dell’etnia etrusca, cioè tra il IX ed il VI secolo a.C., comunque molti secoli prima che i Romani fossero capaci di domarli e di utilizzarli nell’arena.
Il leone oggi sopravvive soltanto in poche riserve per lo più in Africa, perché pare che l’uomo lo abbia cacciato fino ad annientarlo, ma molti secoli fa viveva in molte regioni del mondo, inclusa l’Italia e nel Nord Europa. I dipinti delle necropoli etrusche mostrano anche scene d’interazione pacifica tra l’uomo e il leone: evidentemente questo popolo “primitivo” possedeva capacità di gestire l’animale selvatico in insediamenti umani, entro certi limiti, sicuramente migliore di quanto abbiamo fatto negli ultimi secoli, nel portarli quasi all’estinzione.
Una sottospecie di leone, la Panthera leo fossilis o leone delle caverne del Pleistocene, derivate dal leone delle caverne europeo, o Panthera leo spelaea, invece, sarebbe vissuta mezzo milione di anni fa e si sarebbe estinta.
Ora non si spiega perché un leone apparentemente più grosso e più capace nella caccia di quello moderno si sia estinto, soprattutto non si spiegano le motivazioni addotte dai paleontologi, secondo i quali il leone avrebbe abbandonato l’Europa (ed il Nord America) all’aumentare delle temperature: se un animale abbandona un territorio perché aumentano le temperature … ci si aspetta che cerchi ancora il fresco e NON regioni più calde!
Inoltre, non si spiegano le mandibole fossili nelle caverne del Nord Europa: poiché è raro fossilizzare corpi od ossa, com’è possibile che dette mandibole si trovino in caverne, quando gli stessi scienziati si affrettano a giustificare che quei leoni NON vivevano in caverne! E d’altronde l’uomo non si cibava di carni di leone né abbiamo trofei di caccia di leoni conservati di quelle epoche.
E soprattutto non si spiega come si possa attribuire la specie ad un animale di cui si possiedono alcuni frammenti di mandibole. Anche il fatto che si sia trovato qualche frammento di DNA nel collagene osseo di queste non giustifica né la (NON) affinità del patrimonio genetico (più simile alla tigre) né la presunta datazione dei reperti (poiché il DNA è sopravvissuto fino ai giorni nostri).
Come potevano gli Etruschi, soppiantati dai Romani, conoscere i leoni, avere una cultura tanto diversa da lasciare ancora incerta la loro origine, osservare un culto dei morti così complesso da riprodurre nelle tombe integralmente l’architettura delle abitazioni (perfino un finto soffitto di travi di legno e canniccio intagliato nel tufo)?
Gli Etruschi chiamavano se stessi “Rasenna”, o “Rasna”, erano chiamati “Tyrsenoi” dai Greci. Poiché molte popolazioni e tribù, storicamente, hanno attinto i loro nomi da antenati o capostipiti, è plausibile che essi discendano da tribù dell’Asia minore originate dalla dispersione dei nipoti di Noè sulla Terra, in particolare Tiras, come si legge in Genesi 10, probabilmente attraverso le popolazioni della Tracia.
Similmente accadde agli animali, che, usciti dall’Arca, si sparsero sul pianeta in cerca di cibo e di un habitat.
Gli Etruschi ebbero un’eredità culturale comune a tutte le prime popolazioni post-diluvio, che includeva le basi per soddisfare le necessità quotidiane, la gestione degli animali e molte altre, inclusa la sepoltura.
La Necropoli della Banditaccia, dunque, oltre che patrimonio UNESCO è una meta turistica per meditare sulle origini delle specie, sulla storia dell’umanità e sul progredire, o regredire, della nostra civiltà.
Alla luce della Parola di Dio acquista armonia di significato.
Ebenezer